Undici milioni: 3 milioni ci
sono, 8 milioni mancano; 15mila euro al mese per la sola gestione. I numeri che
in questi giorni stanno venendo fuori a proposito del restauro del Teatro Verdi
assomigliano molto a quelli di un’estrazione del lotto: pescati a caso da una
Dea bendata che accontenta pochi e delude molti. Soprattutto copre di mistero
una vicenda che per il suo valore intrinseco, ma anche per le sue possibili
ricadute economiche e sociali sulla città meriterebbe la massima trasparenza
possibile ovvero la più ampia e dibattuta partecipazione cittadina. E invece
anche per un’operazione storica come il restauro del secolare teatro cittadino
si registra il classico rifiuto a scambi di idee e confronti sui diversi
progetti possibili. E così non si capisce se esiste un progetto esecutivo
approvato, se esistono un computo metrico dettagliato e una bozza di piano
industriale per la gestione.
La nostra associazione ha
debuttato sulla scena cittadina con l’argomento del restauro del Teatro Verdi non
già per una “questione borghese” come si è affrettato a etichettare chi, forse,
si è sentito erroneamente minacciato da un possibile diverso punto di vista.
Piuttosto perché ritenevamo e riteniamo che la “Questione Verdi” fosse e sia
centrale per la rinascita culturale della città, e di conseguenza anche per la
sua ripartenza economica e sociale. Il recupero funzionale e architettonico del
teatro ispirato ai criteri della tradizione, della bellezza e dell’eleganza, ma
anche della tecnologia e dell’innovazione è per noi la materializzazione
fisico-architettonica di una visione di città. Presente e futura. Sia sotto il
profilo culturale, sia sotto quelli, più immanenti, dello sviluppo economico e
produttivo nonché dell’identità e della coesione sociale.
Quanto leggiamo in questi giorni
sui giornali o dagli atti ufficiali dell’amministrazione comunale ci dimostra,
invece, come questa sensibilità di prospettiva per Terni non appartenga a chi
dovrebbe averla in virtù del ruolo istituzionale pro-tempore rivestito, che in
primo luogo dovrebbe essere orientato a compiere le scelte migliori da lasciare
in dote alle generazioni che verranno. Piuttosto che aprire un confronto
allargato con tutte le forze associative e sociali della città per catturare e
mettere a frutto, appunto, i consigli e le idee migliori, si è voluto agire nel
segreto di alcune stanze dando facoltà di accesso soltanto a limitate e
selezionatissime rappresentanze, che guarda caso oggi vengono rappresentate
come possibili “salvatrici della Patria”. A tal riguardo non può non rilevarsi
la singolarità dell’ipotesi di un coinvolgimento dei privati in un
project-financing in cui le idee di partenza sono già state decise da altri.
Condizione nella quale oggi si troverebbe qualunque soggetto privato, fatta
eccezione, forse, per il Teatro Stabile dell’Umbria unico soggetto “esterno”
che ha avuto la facoltà di esaminare progetti e computi metrici grazie alla partecipazione
alle tre riservatissime riunione della Conferenza dei servizi che si sono
tenute questa estate.
Ancora una volta un soggetto
esterno può avere voce in capitolo su un qualcosa che interessa la città;
diritto di udienza non concesso a chi, invece, la città “la fa” ogni giorno con
il proprio lavoro, con i propri sogni, con la propria vita.
Più volte la città di Terni,
attraverso le sue più diverse espressioni, individuali, professionali o
associative ha offerto a costo zero per il Comune le proprie capacità per
contribuire alla rinascita davvero funzionale del più importante edificio
culturale di Terni. Ogni volta è stata gentilmente rifiutata più o meno allo
stesso modo di come avvenuto negli ultimi mesi. A questo proposito vale
constatare che l’amministrazione municipale non solo non ha ritenuto idonei i
propri tecnici comunali, ma nemmeno i liberi professionisti della città che
ottengono incarichi professionali molto più numerosi e importanti fuori dal
proprio territorio di residenza. Siamo certi che se qualche tecnico comunale
avesse partecipato alla progettazione del teatro avrebbe favorito conclusioni
più aderenti alle necessità di una Terni molto più interessata a una presenza
artistica di qualità di quanto non si creda. I nuovi giardini di viale Trento,
ad esempio, sono una lampante dimostrazione di come le professionalità interne
al Comune siano più che capaci di progettare qualcosa di utile, ma anche di
bello e funzionale per la città.
E non si può affermare che
l’incontro pubblico del 16 maggio sul tema teatro sia stato un confronto
scambievole di idee volto a progettare insieme alla città il Teatro Verdi. In
quell’occasione si è parlato poco di
teatro e molto di altro; il dibattito lo si è confinato nell’ultima mezz’ora di
un intero pomeriggio dedicato alle relazioni più disparate. In quella sede si
disse da quel momento in poi sarebbe iniziato un percorso di confronto aperto
con la città invece mai iniziato, e oggi, a quanto pare, sconfessato perché
Comune e Teatro Stabile dell’Umbria (sic!), sia a livello tecnico con la
Conferenza dei Servizi, sia a livello politico con il passaggio in Giunta hanno
già deciso.
Avremmo voluto dire e dimostrare
che un teatro all’italiana, sufficientemente capiente, bello, tecnologicamente
all’avanguardia, innovativo nella scelta dei materiali e nelle strutture
tecniche di compendio avrebbe potuto rappresentare un punto di eccellenza su
scala nazionale e non solo, esattamente come 25 anni fa rappresentò il progetto
Videocentro, avanguardia di un fenomeno multimediale e di produzione
dell’audiovisivo oggi esploso a livello globale con miliardi di dollari di
fatturato e a Terni lasciato abbandonato a sé stesso nonostante il buon avvio
dei primi anni Novanta. Ma c’è di più. Un Teatro Verdi ripensato funzionalmente
per la città e non per interessi circoscritti sarebbe stato un punto di
eccellenza nazionale. Quando il Nuovo Teatro venne inaugurato nel 1849, l’architetto
Luigi Poletti venne preso come visionario e la scelta di realizzare un teatro
così grande e sfarzoso per una comunità ad economia prevalentemente agricola,
bandita come folle. Da allora invece Terni cambiò volto, riuscendo a costruire
un modello di sviluppo industriale durato più di un secolo, ma oggi in evidente
difficoltà. Avremmo voluto dire e dimostrare che la gestione di un teatro
recuperato pensando alla città, si può sostenere da sola facendo forza su
capacità e qualità che a Terni esistono e sono vive, ma sono disconosciute.
Avremmo voluto dire e dimostrare
queste cose se ce ne fosse stata data la possibilità. Lo faremo lo stesso.
TERNIDEALE
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